Live from Tomils, Graubünden.
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Quest’è la storia di Patricia
ch’al mondo entrò sottile
per parentel’assente
d’amor maldestro e vile
che fu liti violente
e bulimic’abbandono
nutrend’e rimettendo
distrusse gola e core
tacend’e suggerendo
che chi affamato nasce
poi disperato muore.
Tomils/Tumegl, 6 luglio 1981.
a patrizia, incompresa
Ci sono cose che non si raccontano e che noi a tratti ci proviamo incessantemente cedendo sull’interminabil viaggio in tilo in della buona e cattiva sorte. Ci sono parole che si fermano, incancellabilissimi ritratti che ci perturbano e che poi non vediamo l’ora di dire noi, noi si che potremmo dire l’avevo visto tra le montagne in un mattino, che eran le 8:40 e quasi quasi eravamo giunti, al solito gipfel che ci trattiene e sostiene, ch’incosciamente c’incantola il pensiero. Così è che siamo qui, su una cima di montagna in terra grigiona guardiamo profondissimamentimmersi il pavimento, di fili d’erba e fiorami d’arancio, ci imbamboliamo. Tocchiamo testa e cuore e ci fermiamo e ci perdiamo nel conto dei 9mila passi che trascinandoci abbiam condotto, nel tempo di una vita che siamo indecisi, che sia abbastanza o meno intrisa d’incancellabil sento e sentieri, c’ero e dov’eri, mi son perduta. Così è che ci ritroviamo e insistentemente rispondiamo, ai millesissimi ideali di tal gioventù ch’eppur si muove e movendosi segnala di roteazioni la sua stagione ell’incertezze che pur ci piacciano e ritrattengono, ritrattandoci nei quindici specchi della camera da letto di nostra madre ci spogliano e mostrano che mai ci siam sentiti così presentificamente compagni di tale pelle, e più che mai di tali bolle.
Quelle che col sapone ella spargea ai mille venti e che venti rimangano e noi guardandola non potevamo che dire era bellissima.
Come una svizzera in mezzo alla frontiera.
E qui vi volevamo, amici, proprio qui, nel punto in cui siete implicatissimamente presi e coinvolti in millesimali spericolatissime giravolte nel maldestro tentativo di cavarvene, fuori, e non riuscirete più. Rassegnatevi. Siete partiti dal Ticino e non ve l’aspettavate, nemmeno quando sospinti da responsabilissimi propositi ci abbiamo provato ripetendovelo in tentennantissimi tentativi da epoinondirechenontelavevodetto eppure eccovi qui, come avevamo previsto, imbarazzantemente perduti. E’ qui che gloriosamente raggiunti ci facciamo coraggio e timidamente ergiamo l’elvetico stendardo sul balcone orgogliosamente fregandocene del vicino e ci affermiamo e avanti il prossimo che visto il Cervino non ci spaventa più niente amici. Così, se pensavate di aver visto tutto con Ginevra, fingete di preparvi a Coira e ve lo spieghiamo dopo. Capoluogo dei Grigioni dal 1803 con l’unione delle tre leghe, Coira si difende meglio che mai come il più antico insediamento svizzero e non ve l’aspettavate. Lo scoprirete lì, alla Churer Bahnhof appena arrivati e ancora nervosamente smossi da passi incerti da primo amore che vi confonde le direzioni e irrimedibilmente confusi vi fermate ascoltandovi il cuore, vi sussurrate. Sconvolti dalla pluralità di emozioni che precitosamente vi prendono il sopravvento vedrete la Coira che vedono in pochi coraggiosi autospogliantisi di guidaturistica e autoreferenzilità dilagantesi. Coira è così, per pochi amatori. Lontana dall’abbaggliantissime bellezze di Ginevra el casto rigore di Berna, giovine sì ma non come Zurigo, Coira è una donna bellissima seduta accanto a voi che non avevate notato. No che non si caratterizza pel capello dorato sboccolantemente lasciato cadere sulla spallina del reggiseno, nè per la maglia Lacoste e l’occhiale griffantemente presuntuoso. E’ così che vi scoprite innamoratissimamente persi trovando quello che non sapevate di cercare. Rapiti e rapidissimamente avvolti d’una bellezza sconosciuta, di forza dolcezza e riccioli, Coira vi avrà fatto suoi prima che possiate rendervene conto. Così, ancora turbati e turbineggiati, vi dirigerete al Bundner NaturMuseum che vi parlerà dei Giacometti, Segantini e Kauffmann, e sarà in quell’attimo di profondissima pace che scoprirete che il cuore parla svizzero tedesco e non lo sapevate. Ah beh.
Mettete che un giorno dopo millemila anni decidete di andare da quella che era la vostra psicanalista dei tempi bui in cui cercavate ancora senso della vita e ragioni nelle cose prima di rassegnarvi ad accettare la vita per quello che spudoratamente si presenta. Mettete che volete parlare un poco così del più del meno allora come ti va e come sta elena e forse rosanna e le altre ah beh se me le ricordo tutte eh e poi uscirvene con una domandina che vi frulla nello stomaco e a cui avete risposto da un pezzo ma volete certe sue conferme che vi rassicurano sempre un poco come la torta di mele della nonna nei primi pomeriggi di settembre. Mettete che siete giù al bar e non sapete se suonare al citofono e cosa direte dopo e se non riuscirete a parlare come al primo giorno di liceo che siete arrivati con la camicetta rosa e la gonnellina a pieghe. Sì che ancora vi vergognate per aver scoperto che vostro fratello gemello ce l’aveva azzurra sotto il giubbino. Metteteci su un sidro per dimenticare e fatevi coraggio e suonate quel citofono in pieno centro di Milano, vicino alla biblioteca dove studiavate ai tempi dell’università nei sabati pomeriggio in cui avevate il turno di riposo. Mettete che arrivate lì, siete forti e determinati alla massima potenza e nemmeno la pioggia vi ha convinti a rinunciare e adesso sì che entrando ah beh vi dirà che capello biondo abbiamo e come siamo diventati grandi che c’è da andarcene orgogliosi in giro per il mondo eh. Vi fermate un minuto, silenziate il mobile e ricontrollate le certezze nel taschino che non si sia perso nulla nel tragitto. Davanti allo studio mentre indugiate ancora un minuto fa pausa una piccola automobilina rossa che sfoggia una bella targa svizzera GR vi dice e voi che ricordate la prima volta a Coira e l’ultima e tutto quello che viene in mezzo. Adesso ne siete certi, la vita vi prende per le orecchie.
Eccoci qui. Seduti, sì. Seduti dietro una panchina indovinatedove ad ammirare certun’elvetiche cime contando le gocce di pioggia. Il viaggio nella nostra svizzera non finisce qui. Ci siamo regalati inedite scoperte d’imbarazzanti bellezze e paesaggi che ci hanno tolto il dubbio una volta per tutte. Adesso che siamo tornati possiamo dirvelo. Abbiamo le risposte, sì. Le abbiamo scritte distrattamente tra un treno e una panchina, mentre camminavamo nel silenzio della notte su un sentiero di montagna, mentre cercavamo di non disturbare il rumore del fiume che lentamente scorre e ci trascina con sè tenendoci per il cuore. Le abbiamo scritte con un bicchiere in mano e qualche volta qualcun’altro le ha scritte per noi. Le abbiamo cercate sulle cime più alte e nel profondo del cuore. Un poco ci hanno suggerito, come quando eravamo a scuola e ci prendevano in contropiede che no che non avevamo studiato. Che c’era il sole eh ed era un peccato pensarci su troppo. Ma alla fine tutto è andato bene e noi sì, ci hanno promosso, e ci sentiamo addosso quell’euforia della festa dell’ultimo giorno di scuola, che malinconia e gioia si incontrano a metà strada e noi non ci troviamo più. Non ci troviamo, attraversato il confine, e insistiamo nel cercarci. Ci sediamo su una panchina nel vano tentativo di ritrovare i piccoli passi perduti e scopriamo che nulla è più uguale a prima e sul cuore ci hanno inciso una crocetta bianca di cui non potremo più fare a meno. Ancora un minuto, e poi partiamo. Alla scoperta del paese più piccolo e carino che ci sia capitato sul cammino. E se vi rimane l’imbarazzo della scelta fate come noi: scegliete i grigioni.